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“Vogliamo essere valutati secondo criteri che rappresentano le peculiarità della nostra disciplina”, i Filosofi Politici dissentono sui criteri dell’Anvur

Data pubblicazione: 26.06.2012
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I filosofi politici manifestano dissenso sulle scelte annunciate nei documenti dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur), all’indomani di una assemblea della Società Italiana di Filosofia Politica, alla quale ha partecipato e delle quale si fa portavoce Barbara Henry, Ordinario di Filosofia Politica e, tra l’altro, prima donna a entrare in ruolo come Ordinario alla Scuola Superiore Sant’Anna. I filosofi politici, in questo caso tramite Barbara Henry, sottolineano di essere ovviamente favorevoli alla valutazione della loro disciplina ma come i parametri fissati dall’Anvur ne prevedano una tipologia “condotta in base a criteri estranei e peraltro già riconosciuti come non adeguati nel dibattito internazionale”. A detta dei filosofi politici, la loro presa di posizione ha un significato più ampio, che travalica la “difesa” dei colleghi, a vantaggio ad esempio dei ricercatori più giovani, favorendo il “ricambio generazionale” e garantendo loro quell’indispensabile libertà di fare ricerca che, oggi, può essere minacciata dalla “necessità” di uniformarsi ai criteri di valutazione fissati dall’Anvur. E la “difesa” deve essere interpretata come estesa a tutto il settore delle Scienze Sociali.

L’Anvur ha individuato due metodi combinati per la valutazione della qualità della ricerca: l’analisi bibliometrica e la “peer-review” riconoscendo peraltro che il primo strumento, può applicarsi con difficoltà alle discipline umanistiche e sostituendolo con quello della rilevanza editoriale delle riviste. L’Anvur, in questo caso, propone di vincolare la classifica alla logica dei percentuali, per la quale si stabilisce a priori che solo una certa percentuale di riviste possa essere collocata nelle fasce più alte. Una simile scelta appare viziata da un alto grado di arbitrarietà e da possibili conflitti di interesse. Il sistema inoltre sistema penalizza le riviste interdisciplinari e gli approcci spesso più innovativi e originali alla ricerca.

Allo stesso modo, ricordano i Filosofi Politici, l’ostinazione nell’attribuire un privilegio alle pubblicazioni in inglese, oltre a mostrare il solito, vecchio provincialismo italico, non tiene conto della differenza fra la – ovviamente necessaria – conoscenza della lingua veicolare e la capacità di intervenire nel dibattito scientifico internazionale. Allo studioso – aggiungono i filosofi politici si dovrebbe richiedere non tanto (e non soltanto) di scrivere nella lingua conosciuta dai più, ma di saper pubblicare nella lingua che è propria del campo di studi nel quale è impegnato, che può di volta in volta essere il francese, il tedesco, l’inglese, lo spagnolo, così come altre lingue non europee, e perfino l’italiano. “E non bisogna dimenticare – ricorda Barbara Henry - che la nostra lingua ha il pregio di renderci leggibili al contribuente che finanzia la nostra ricerca.

In conclusione, i filosofi politici chiedono che definire metodologie di valutazione consone alla propria identità scientifica sia affidata agli studiosi stessi e non si risolva nella imposizione autoritaria di stereotipi estranei e obsoleti, idonei soltanto a creare una burocratica parvenza di rigore.

In allegato il documento approvato dall’Assemblea della Società Italiana di Filosofia Politica.